(Giubbolini F., La ragione degli affetti, 1996)
Il primo paradosso su cui basiamo questa presentazione sulla comunicazione deriva dall’apparente contraddizione di proporre un percorso di rapporto che parta proprio dal silenzio e dall’inconscio.
Questo apparente “nodo” teorico di partenza non spaventi perché, consapevoli del fatto che comunicare significa, prima di tutto, semplificare, trova la sua naturale espressione solo e soltanto nell’esperienza pratica che si fa insieme.
A questo punto siamo pronti per cominciare il viaggio nella consapevolezza.
Che cosa significa comunicare?
Trattare di comunicazione oggi significa comprendere il più ampio spettro delle attività umane, per cui comunicare in maniera adeguata proposte e progetti, idee e sentimenti risulta essenziale.
Prima di ogni altra cosa va detto che noi ci occupiamo, in questa sede, esclusivamente della comunicazione interpersonale umana e partiamo dal presupposto che la comunicazione è un bisogno primario dell’uomo e che, proprio per questo, comunicare efficacemente determina la qualità della vita.
Spesso si pensa che la comunicazione sia un insieme di atti istintivi e scontati, in realtà la comunicazione è un processo complesso che non deve essere confuso con il semplice parlare.
La chiave di tutto è la consapevolezza delle dinamiche che regolano questo processo.
“Se so cosa sto facendo, ho la possibilità di cambiare”.
Tale consapevolezza si acquista con l’apprendimento dei principi che regolano la comunicazione e con la riflessione sul processo di comunicazione, svincolato, una volta per tutte, dalla spontaneità istintiva e collocato nell’ambito di una disciplina anche razionale che, come tale, può essere appresa diventando uno strumento sociale.
Non intendiamo compiere un’operazione di sterile tecnicismo dal momento che riteniamo che la ragione debbe tener conto anche del sentire per poter essere, veramente, razionale.
Pertanto le esperienze che andiamo a presentare sono rivolte a chi desideri recuperare il terreno perduto e le competenze necessarie per essere in grado di esprimere con equilibrio e armonia completamente se stesso.
Solo a questo punto troviamo finalmente il senso di quell’attimo di silenzio da cui è partito il viaggio, il senso di un vuoto colmato, vuoto di un’assenza affettiva che era, in primo luogo, la nostra.